La scelta del CCNL

LA SCELTA DEL CCNL

Il CCNL, ossia il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro.

Ci sono due miti da sfatare in materia di CCNL: 

  1. “L’applicazione di un CCNL è obbligatoria”. Bene, NON è vero, Non c’è l’obbligo di applicare un contratto collettivo, si può scegliere se applicarne uno oppure si può scegliere di non applicarne nessuno scrivendo delle regole aziendali che siano ovviamente rispettose della legge.
  2. “Esiste un solo contratto collettivo nazionale di lavoro per ogni settore merceologico”. Questo errore fa sorridere perché è tanto grossolano quanto diffuso anche quando se ne sente parlare in televisione, al telegiornale. Anche i professionisti parlano del CCNL commercio, ad esempio, come se non ce ne fosse solo uno, mentre nel settore commercio ci sono più di 100 contratti collettivi nazionali.
 

La verità è che si è creata una prassi per cui vengono proposti all’imprenditore, al datore di lavoro questi contratti, che sono i più vecchi e tendenzialmente sottoscritti da Cgil, Cisl e Uil, come se fossero l’unica alternativa possibile, togliendo quindi all’imprenditore la possibilità di scegliere il contratto collettivo nazionale.

Possibilità che, tra l’altro, è garantita dalla Costituzione nell’articolo 39.

I 4 istituti contrattuali

Ora, andiamo a vedere perché è importante effettuare questa scelta del CCNL e lo faremo concretamente andando ad analizzare, tra le decine e decine esistenti, QUATTRO ISTITUTI CONTRATTUALI: 

1) periodo di prova,

2) il contratto a tempo determinato,

3) i permessi retribuiti 

4) l’aspetto economico della malattia.

Andiamo a vedere per ognuno di questi istituti contrattuali cosa dispone e come può influire su di essi la scelta del CCNL.

La legge stabilisce il livello minimo di tutela sotto il quale né il datore né il lavoratore possono decidere di scendere. Immaginiamo che la legge stabilisca una un’asticella.

Cosa fanno i CCNL? Tendenzialmente alzano o abbassano questa asticella in favore del lavoratore.

Di quanto la alzano? Bisogna tenere conto che i contratti maggiormente applicati, quelli sottoscritti da Cgil, Cisl e Uil, sono stati scritti intorno agli anni ‘60-’70, dove il potere dei sindacati era enorme rispetto a quello degli imprenditori. L’asticella di questi CCNL infatti è stata  spostata di molto a favore dei lavoratori.

Ora, per capire meglio quello di cui stiamo parlando, prendiamo in esempio un settore, anche questo preso a caso, come quello della metalmeccanica industria e andiamo a vedere come, per ognuno di questi quattro istituti contrattuali, viene disciplinato dal CCNL maggiormente applicato in questo settore.

Quando si parla di “maggiormente applicato” non significa che sia il migliore, ma semplicemente che è quello più applicato per la prassi di cui parlavamo e che toglie la libertà di scelta di fatto agli imprenditori.

Il periodo di prova

Partiamo col primo istituto contrattuale:  il periodo di prova.

Innanzitutto il periodo di prova è quel periodo durante il quale le parti possono recedere liberamente dal contratto senza nessuna formalità. Superato il periodo di prova si consolidano e entrano in gioco tutte le tutele tipiche del lavoro subordinato a favore del lavoratore.

Quindi dopo il periodo di prova, il datore di lavoro non potrà più licenziare liberamente, ma dovrà rispettare tutti i vincoli e i limiti previsti dalla legge.

Il periodo di prova tutela entrambe le parti,  ma ovviamente il datore di lavoro avrà interesse che il periodo di prova sia il più lungo possibile, mentre dall’altra parte il lavoratore avrà interesse che il periodo di prova sia il più corto possibile.

La legge stabilisce la durata massima del periodo di prova e dispone che debba essere al massimo di tre mesi per gli impiegati e al massimo di sei mesi per gli altri tipi di lavoratori (operai, quadri e dirigenti). Vediamo come il CCNL  sposta l’asticella a favore del lavoratore, che in questo caso significa abbassare il periodo di prova. 

Nel caso dell’esempio specifico che abbiamo deciso di prendere in considerazione, settore metalmeccanica, il CCNL per un operaio semplice prevede un periodo di prova massimo di venti giorni (a fronte della previsione di legge di 3 mesi per gli impiegati e 6 mesi per gli operai).

E’ importante quindi capire se scegliere di applicare o non applicare un CCNL oppure quale CCNL applicare.

Perché la legge prevede in questo caso che il periodo di prova possa essere per un operaio fino a sei mesi, mentre il CCNL fino a venti giorni.

Il contratto a tempo determinato

Vediamo ora il contratto a tempo determinato come viene disciplinato dalla legge e poi dal contratto collettivo.

Il contratto a tempo determinato è una tipologia contrattuale che viene utilizzata moltissimo dagli imprenditori per dare lavoro a delle persone, ma nonostante questo viene demonizzato dai sindacati con la piena complicità dello Stato e quindi del legislatore.

Tant’è che la legge impone dei limiti per scoraggiare e disincentivare l’utilizzo di questo tipo di contratto.

Uno di questi limiti è di tipo numerico: ossia la legge dice che si può assumere a tempo determinato al massimo il 20% dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1º gennaio dell’anno in corso. Tradotto in numeri significa che se un datore al 1º gennaio 2020 ha dieci lavoratori in forza, per tutto il 2020 potrà assumere al massimo due persone a tempo determinato.

Non importa se al 2 gennaio assumerà 100 lavoratori. Si tiene comunque conto di quanti ne aveva al 1º gennaio (assurdità!).

La stessa legge però demanda ai CCNL la possibilità di alzare questa percentuale. Ovviamente il contratto che abbiamo preso in esempio, non alza questa percentuale, quindi rimane del 20%.

Ma ci sono altri CCNL nel settore metalmeccanica industria che invece innalzano questa percentuale dando la possibilità di stipulare più contratti a tempo determinato (anche fino al 50%).

I permessi retribuiti

Vediamo ora i permessi retribuiti.

I permessi retribuiti, sono il costo più alto per un imprenditore. Perché?

Perché nella migliore delle ipotesi paghi il dipendente per stare a casa. Nella peggiore diventano un vero e proprio costo aggiuntivo. 

In entrambi i casi paghi sempre i contributi INPS sulle retribuzioni date a titolo di permesso retribuito.

I permessi sono un costo nascosto. Perché?

Perché quando il dipendente li utilizza, il datore non ha la percezione di avere un costo in più, magari una sensazione di fastidio perché non ci sono lavoratori in azienda.

Crea quindi un problema non avere le persone in azienda a lavorare.

Ma il vero costo lo si percepisce quando è troppo tardi: quando termina il rapporto di lavoro e magari bisogna pagare centinaia di ore di permessi retribuiti arretrati.

La legge prevede che ogni datore di lavoro debba riconoscere almeno 32 ore all’anno di permessi retribuiti in sostituzione alle “ex festività”.

Cosa prevede dall’altra parte il ccnl? in che modo ha alzato l’asticella a favore dei lavoratori?

Il ccnl in questione, nell’esempio che abbiamo scelto, prevede 104 ore all’anno di permessi retribuiti per i dipendenti. 

Quindi 72 ore in più rispetto a quelle minime previste dalla legge.

I permessi sono inoltre un costo che non produce nulla per l’azienda poiché serve a pagare solo il tempo libero dei dipendenti.

Pertanto, se un dipendente di costa, ad esempio, 15 € l’ora, significa che quel CCNL ti sta imponendo un costo in più, rispetto alla legge, di 1.080 € l’anno (72 ore * 15€/ora di costo) per ogni dipendenti. Se hai 10 dipendenti, significa che stai spendendo 10.000 € l’anno per pagare i tuoi lavoratori per “stare a casa”.

Il chè non è di per sé sbagliato ma la mia domanda è: ne sei consapevole?

L’aspetto economico della malattia

 L’ultimo istituto contrattuale preso ad esempio è l’aspetto economico della malattia

La legge in questo caso stabilisce le indennità dovute dall’INPS, queste indennità vengono solo anticipate dal datore di lavoro che le recupera in F24.

La legge dice che dal primo a terzo giorno non va pagata nessuna indennità; dal quarto al ventesimo giorno l’INPS deve pagare un’indennità pari al 50% della retribuzione media giornaliere; dal ventunesimo al 180esimo giorno va pagata un’indennità da parte dell’INPS pari al 66,66% della retribuzione media giornaliera.

Cosa stabiliscono i CCNL?

I CCNL stabiliscono la cosiddetta “indennità carico del datore di lavoro”. Cioè anche il datore di lavoro deve aggiungere un’indennità che cambia a seconda del CCNL.

Il CCNL che abbiamo preso come esempio prevede che il datore di lavoro debba pagare l’integrazione al 100% della retribuzione del lavoratore fino a 214 giorni di malattia.

Il concetto è sempre lo stesso: la legge stabilisce un livello minimo di tutela per il lavoratore, sotto il quale il datore, il lavoratore o il CCNL non possono scendere; i CCNL tendenzialmente innalzano questa asticella a favore del lavoratore.

In base ai casi potrebbe essere utile non applicare nessun CCNL e scrivere un Regolamento che rispetti la legge, oppure potrebbe essere conveniente semplicemente cambiare CCNL a cui si fa riferimento.

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